Le vestali erano sacerdotesse consacrate alla dea Vesta. A Romolo, primo re di Roma, o al suo successore, Numa Pompilio, è attribuita l'istituzione del culto del fuoco, con la creazione delle vergini sacre a sua custodia, chiamate vestali.
Vestale di Frederic Leighton (1830-1896) |
L'antichità del culto e dell'ordine sacerdotale è attestata dalla leggenda della fondazione di Roma, secondo la quale la madre di Romolo e Remo, Rea Silvia, era una vestale di Albalonga. E secondo Tito Livio le Vestali, esplicitamente derivate dall'analogo culto di Albalonga, furono tra i primi ordini sacerdotali creati da Numa Pompilio: subito dopo i Flàmini, e prima dei Salii e dei Pontefici.
Il loro compito era di mantenere sempre acceso il sacro fuoco alla dea Vesta, che rappresentava la vita della città, e compierne il culto a nome, appunto, della città. Erano inoltre incaricate di preparare gli ingredienti per qualsiasi sacrificio pubblico o privato, come la mola salsa, una focaccia di farina di farro tostata mista a sale, con cui si cospargeva la vittima (da qui il termine immolare).
«Aumentò il numero, il prestigio, ma anche i privilegi dei sacerdoti, in particolare delle Vestali. Quando era necessario scegliere una vestale in sostituzione di una morta, vedendo che molti non volevano dare le loro figlie in sorte, giurò che se le sue nipoti avessero avuto l'età adatta, egli stesso le avrebbe offerte.»
(Svetonio, Augustus, 31.)
In principio le vestali erano quattro (o tre) fanciulle vergini, in seguito il loro numero fu portato a sei fanciulle che erano sorteggiate all'interno di un gruppo di 20 bambine di età compresa fra i 6 e i 10 anni, appartenenti a famiglie patrizie.
La consacrazione al culto, officiata dal Pontefice massimo avveniva tramite la captio o cattura (un rito paranuziale che ricalca il matrimonio per rapimento). Dopo che il Pontefice aveva pronunciato la frase di rito "Ego te amata capio" (io ti prendo, amata) le fanciulle erano consacrate a Vesta. Al Pontefice massimo erano sottoposte come ad un marito e a lui dovevano rispondere in caso di eventuali mancanze. Dovevano portare sempre un'elaborata acconciatura a trecce, i "seni crines", attorcigliati e sormontati da un'infula (benda sacra) che girava in più spire sul capo, e terminava in due bende finali, che ricadevano sulle spalle. Il tutto era coperto da un velo fissato da un spilla. Il servizio aveva una durata di 30 anni: nei primi dieci erano considerate novizie, nel secondo decennio erano addette al culto mentre gli ultimi dieci anni erano dedicati all'istruzione delle novizie. In seguito erano libere di abbandonare il servizio e sposarsi. La vestale più anziana aveva il titolo di "Virgo Vestalis maxima".
Resti della Casa delle Vestali nel Foro Romano
La loro vita si svolgeva nell'Atrium Vestae, accanto al tempio di Vesta, dove dovevano mantenere acceso il fuoco sacro e preparare la "mola salsa", una focaccia che veniva offerta agli dei nelle cerimonie solenni.
Potevano però uscire liberamente e godevano di privilegi superiori a quelli delle donne romane, nonché di diritti e onori civili: mantenute a spese dello Stato, affrancate dalla patria potestà al momento di entrare nel Collegio, erano le uniche donne romane che potevano fare testamento (e custodi a loro volta, grazie all'inviolabilità del tempio e della loro persona, di testamenti e trattati), potevano testimoniare senza giuramento e i magistrati cedevano loro il passo e facevano abbassare i fasci consolari al loro passaggio.
Questo per quanto attiene al loro status sociale.
Atteneva invece piuttosto al loro ruolo sacerdotale il diritto di chiedere la grazia per il condannato a morte che avessero incontrato casualmente (perché il nefas rappresentato da questo incontro fosse immediatamente compensato) e quello di essere sepolte entro il pomerio, a significare che la loro esistenza era così sacra che neppure le loro ceneri erano impure.
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